Aldo Volpini, detto “Ciccio” per le sue esuberanze fisiche, nacque nel 1920 a San Marino. Uno dei Maestri Artigiani della piccola Repubblica, uno dei più validi esponenti del suo mondo artistico. Le sue sculture ed i suoi bassorilievi sono conservati in varie parti del mondo e le strade della città di San Marino mostrano con orgoglio le sue opere migliori.
Artista, scultore, scenografo, ritrattista, restauratore, ma essenzialmente “scalpellino”: la semplicità dei modi e la fierezza del carattere ne rendono evidente l’orgoglio per l’eredità di una tradizione di secoli esaltata ed innalzata al livello dell’arte dalle sue qualità espressive ed interpretative della pietra, la sua materia preferita. Il tipico autodidatta che, nonostante gli stenti e i sacrifici familiari, ha saputo coltivare l’amore dell’arte. Difatti egli come seppe usare il pennello in lavori di fregi e decorazioni, spingendosi fin anche a trattare figure sia pure limitatamente al campo della caricatura; così meglio ancora seppe usare lo scalpello e il mazzuolo in lavori in pietra sammarinese.
Aldo Volpini è stato sicuramente l’ultimo grande lapicida della tradizione sammarinese. Entrò nella cava di Luigi Reffi, passata al figlio Gaetano, ancora bambino, nel 1934, e suo padre raccomandò al più vecchio degli scalpellini, chiamato “Sarafa”, di accoglierlo bene e insegnargli con pazienza il mestiere. Romeo Balsimelli (che gestì, dopo di lui, la cava di Gaetano Reffi) rimproverava al Volpini, subito emergente come il migliore degli “allievi”, la sua originalità creativa che facilmente assecondava il gusto per l’invenzione mentre, a detta del “maestro”, avrebbe dovuto essere meno “presuntuoso” e limitarsi a eseguire i progetti altrui.
Il fatto era che Aldo Volpini non aveva talento ma lo era, e lo dimostrava quasi febbrilmente, arricchendo di colori, segni, e fantasia, ogni foglietto di carta, ogni supporto che si prestasse alla sua creatività. Per questo egli fu artista completo, prolifico e spesso irrequieto.
Il giorno lavorava e la sera si ritirava nella solitudine della sua stanza a disegnare figurine, paesaggi e trovava unico svago nell’usare acquerelli, matite colorate, pastelli e sporcare quanta più carta poteva. Invano l’avreste cercato nei locali frequentati dai coetanei e dalla gente del suo rango. Vi era una festa danzante, ecco Aldo preparare il cartellone pieno di figurine e di volteggi; vi era una partita di calcio fra squadre giovanili locali, ecco Aldo preparare dei quadri vivi di umorismo e di gaiezza.
Cominciò così a farsi notare; ma senza volerlo, perché Aldo era di una modestia che rasentava la timidezza ed era nemico di ogni esibizione, di ogni clamore.
La sua stanzetta cominciò a corredarsi di qualche libro di poca spesa, poi via via di qualche pubblicazione più consistente acquistata coi sacrifici del suo lavoro diurno, e cominciò ad osservare a studiare le opere dei grandi artisti e sentì di commuoversi davanti alle sublimi opere d’arte.
Nel frattempo si sposa e nel 1948 diventa padre di una bambina.
La sua figura artistica si può veramente definire completa: non si applicò, infatti, alla sola lavorazione della pietra ma, sempre da autodidatta, apprese la tecnica della modellazione (osservando il decoratore Giris al lavoro nel Teatro Titano), e i rudimenti nel disegno dal pittore sammarinese Torquato Mariotti. Il desiderio di completare e perfezionare i suoi risultati lo induceva a osservare, studiare, imitare, le opere dei grandi artisti rinascimentali, per rendere sicura la propria linea, ed espressivo il segno. Si distinse alla prima Mostra dell’Artigianato del 1948: nello stesso anno compose un grifo in rilievo su un fondo in pietra martellata. La difficoltà dell’esecuzione indica già una mano sicura nelle curve morbide ed eleganti, nel gusto della decorazione, ricca ma non pesante. E’ questa una delle prime opere in cui l’”artista” esprimeva il suo originale stile
Negli anni fra il 1950-60 realizzò la sua produzione maggiore.
Il Volpini d’estate, come gli altri ex-scalpellini, faceva il commerciante, ma negli altri mesi si richiudeva nella sua rustica e piccola capanna attaccata alla roccia anch’essa di sua realizzazione, nella Cava della Fratta ed ora demolita, su cui incise volti e mascheroni in rilievo tuttora visibili nel parcheggio n.7, nella quale componeva autentici capolavori. Nel 1951 eseguì uno stemma (dono del Governo per il III Congresso internazionale di difesa sociale, tenuto a San Marino) a cui seguirono altri stemmi nel 1953, per la tomba di Dante Alighieri, nel 1954 per il “Social Club San Marino” di Detroit e per la Porta della Fratta, nel 1955 per il Museo delle armi Antiche, e nel 1959, per la Funivia di San Marino. Resosi noto fra la popolazione per l’esecuzione di questi stemmi, ne preparò ancora: due per Valgiurata nel 1960, per le Famiglie Gozi e Arcangeli nel 1961 e per la famiglia Belluzzi nel 1963. Ma le sue opere più belle le teneva custodite in casa: per lui, il lavoro in pietra, come tutte le altre attività artistiche, era un fatto vitale. Doveva appagare l’eterno stimolo a creare, a dare forma all’ “inesprimibile”.
Egli ha potuto aggredire vaste masse di pietra e trattarle per vie essenziali, immediate, le sole che a lui sembrino in grado di esprimere il nucleo dei suoi ideali.
Ma il suo sogno artistico era quello di fare una statua, di crearsela, non di limitarsi ad essere l’accurato esecutore di modelli altrui. E l’occasione è venuta per la grande fiera di Bruxelles del 1958 allestendo uno stand sammarinese per iniziativa del nostro Console Generale nel Belgio avv. Noel. Gli artigiani sammarinesi furono invitati a parteciparvi coi lavori della loro industria e del loro impegno. Aldo Volpini, primo fra gli altri, fu invitato a fare qualche cosa e si era messo al lavoro. Per di più, il Sindacato Scalpellini del Belgio, manifestò il desiderio di avere una statua del Santo tagliapietre di Arbe fondatore della Repubblica del Titano, da eleggere a loro Patrono. Noel conosceva Vopini e si rivolse a lui. Realizzò una statua maestosa di due metri e venti di altezza.
Aldo si fece scavare due grossi blocchi di pietra, scelta dalla sua perspicacia e dalla sua esperienza, senza falli e incrinatura, compatta e abbastanza cedevole allo scalpello. Due blocchi del peso singolo di 30 quintali, uno di riserva per ogni evenienza.
E nella sua capanna ha raccolto grandine, sgorbie, raspe lime, “scorpioni”, compassi; vi ha installato un pantografo, ha cominciato a prendere punti, ad usare la subbia, a sbozzare con la coscienziosa certezza che, adagio, dal masso informe sorgerà la figura ieratica del Santo destinato per un angolo della funivia di San Marino – Borgo Maggiore, nella zona del “Cantone”. Il tema del Santo lapicida fu, infatti, sempre caro anche al Volpini.
Con questo suo San Marino, Volpini fu l’unico degli scalpellini sammarinesi a comporre una figura a tutto tondo nella pietra locale: quella più bianca, diceva, è tenera e adatta a bassorilievi e sculture. Altre figure a tutto tondo del Volpini: un “Cristo” del 1961 a Fiorentino; un “San Marino” per la “Fratellanza sammarinese” di Detroit del 1961; un “San Marino” “donato dal Paese in occasione dell’Esposizione Universale di Bruxelles, per la Fiera Internazionale e un altro “San Marino” del 1962 per Rovereto. Queste sculture furono collegate al San Marino del “Cantone”, il suo capolavoro che gli costò una lunga e meditata preparazione. Nel 1962 eseguì il bassorilievo La Costruzione del Tempio, sotto l’arco che collega la Cassa di Risparmio a via Omerelli. Ancora una volta scelse il tema del Santo Lapicida, circondato dai simboli della sua tradizione.
Nel 1969 gli fu commissionato dal Conte Bosca di Roma un trittico in noce dipinto su sfondo oro. Fu probabilmente la vetta artistica del Volpini pittore. Nel grande pannello vi trovarono posto le icone dei Santi Michele e Marino e accanto a loro Sant’Agata. In basso, in tutta la sua estensione, fu raffigurato il profilo del Titano.
Diceva Aldo Volpini “La pietra si vede tutta dalla fuga della stuccatura”. Tanto era l’attaccamento alla sua cava che preparò con un sasso di quella roccia la sua stessa sepoltura, ora al cimitero di Montalbo dal 1976. Oggi i parenti conservano con cura più di 250 opere in uno spazio privato, centinaia di tracce del suo passato e mille ricordi del suo ingegno, preservando tutto il suo patrimonio artistico da lui prodotto: quadri, busti, piatti, oggetti e tante immagini che testimoniano l’eclettismo fecondo dell’artista sammarinese. Una “collezione” che forse richiederebbe una sistemazione più adeguata, un riconoscimento più alto.
Il Volpini Ha vissuto nell’eterna contraddizione dell’artista, fra le esigenze del suo ingegno e le restrizioni del mondo “comune”, che ora sembra onorarlo, ora sembra dimenticarlo dietro a problemi forse meno importanti, ma ogni volta più pressanti.
Purtroppo, per diverse ragioni, furono molte le delusioni del Volpini artigiano; si vide infatti discriminato dalla scelta di alcune opere ed idee che avrebbero potuto dar lustro alla Repubblica e arricchirla con i segni della prima e più antica espressione del tricuspide. Lo scultore rispondeva con malessere alla mancanza di sensibilità ma ciò non intaccava la sua passione.
Ha inseguito per dieci anni un suo grande sogno: scolpire una storia di San Marino di dimensioni gigantesche nella cava degli Umbri, un’antica cava in disuso che mostra una enorme parete liscia, che era pronta per essere “attaccata” dalla mano di Aldo Volpini. Il progetto è stato accuratamente preparato, meditato, approfondito, ma fino al primo giorno in cui è stato presentato alle autorità competenti ha sempre trovato davanti a sé poco coraggio di iniziativa, forse nessuno si era esattamente reso conto della portata di una simile opera: su una superficie di centinaia di metri quadrati, un grandioso San Marino contornato da sei “quadri” che ne illustrano le fasi più salienti della vita. Un’opera visibile da chilometri di distanza, capace da sola di dare alla Repubblica di San Marino fama maggiore di quanta non ne goda oggi; la idea di un artista paragonabile per entusiasmo ed impeto ai suoi predecessori del Rinascimento.